Nel cuore di Roma una casa per chi scappa dall’orrore.

“Rispettare le persone nel bisogno significa aiutarle a riconoscere la propria dignità”, così p. Giovanni La Manna (presidente del Centro Astalli), lo scorso 22 novembre, ha dato il via all’inaugurazione dei nuovi locali del Centro di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati “San Saba”.
Il centro è stato ristrutturato grazie al contributo della Regione Lazio nell’ambito del Piano Povertà e Sostegno all’Inclusione Sociale 2011 e di Fondazione BNL.
Molto è cambiato da quando, nel 1990, l’ex cinema parrocchiale ospitava alla meglio i rifugiati sudanesi e curdi che cercavano un riparo per la notte. Oggi il centro può accogliere fino a 34 uomini richiedenti asilo e rifugiati, in convenzione con Roma Capitale, ed è aperto 24 ore al giorno.

Sono fuggito dal Togo molti anni. Ero poco più che un ragazzino. Sono stato ospite del Centro San Saba nel 1999, quando la struttura era ancora poco più di un dormitorio.
I ragazzi che sono accolti oggi sono fortunati, noi dovevamo passare le giornate all’aperto e trascorrevamo il tempo ad aspettare il momento in cui avremmo potuto riunirci tutti insieme la sera. Ho passato più di un anno al centro San Saba e anche se è trascorso tanto tempo ricordo sempre con piacere quel periodo della mia vita, nonostante le difficoltà e il dolore che accompagnavano i miei giorni in un Paese sconosciuto. Nelle camerate e sul campetto da calcio, infatti, ho stretto le mie prime amicizie qui Italia, con gli altri ospiti ma anche con tutti gli operatori e i volontari che cercavano in ogni modo di aiutarci. Quando sono uscito e ho affittato una stanza per conto mio, ho provato una sensazione difficile da descrivere. Avere una camera, un bagno tutto per me…mi sembrava un sogno, eppure mi sentivo un po’ solo. Era strano non trovarsi in compagnia dei miei amici, non condividere la quotidianità, non litigare più per chi dovesse decidere se tenere ancora la luce accesa o dormire. Ma in fondo è giusto così, perché a un certo punto ognuno deve intraprendere la sua strada. Si viene accolti in un centro come San Saba per curare le ferite, trovare la forza di rimettersi in piedi. Poi bisogna andare avanti da soli. Con l’aiuto e l’amicizia delle persone conosciute, una simile esperienza appare meno difficile e solitaria.

Koffi (rifugiato togolese)

 

Quando sono fuggito dall’Afghanistan non avevo più una famiglia. Ero solo. Imbarcatomi in Grecia sono arrivato ad Ancona e da lì mi sono trasferito subito a Roma, dove ho fatto richiesta di asilo. Sono stato accolto al centro San Saba e da allora questa è la mia casa. Appena arrivato mi sentivo impaurito, solo, spaesato. Poi piano piano ho conosciuto tutti i ragazzi del centro, ho fatto amicizia con persone di tanti Paesi diversi. Capirci non è sempre facile, anzi. Ma poi basta organizzare una partita di calcetto o mettere un po’ di musica e tutte le differenze che ci separano sembrano sparire. Molti dei ragazzi con cui ho vissuto i primi mesi ormai sono andati via, ma con alcuni di loro sono ancora in contatto, ci sentiamo, usciamo insieme, è un’amicizia che va al di là del condividere una stanza in una struttura d’accoglienza.
Oggi sono io il “veterano” del centro e faccio un po’ da “guida” non solo ai nuovi ospiti ma anche ai nuovi volontari. È un compito importante!
Finalmente i lavori di ristrutturazione sono finiti e mi sento felice, non solo perché il centro adesso è più bello, ma perché posso dire di avere dato anch’io il mio piccolo contributo. Nel mio Paese, infatti, facevo il falegname e non mi è sembrato vero di poter dare una mano a montare letti e comodini. Ho potuto così dimostrare con un gesto concreto tutta la mia gratitudine verso gli amici del Centro Astalli.

 

Mohamad (rifugiato afgano)

Morti in viaggio verso l’Europa e accoglienza dei rifugiati: le urgenze per il 2013

“Il 2012 è stato un anno molto difficile per i rifugiati: sono state migliaia le vittime incolpevoli dei viaggi in mare verso l’Europa. Ingiustificabili i ritardi e lo spreco di risorse nella gestione della cosiddetta emergenza Nord Africa che sta per concludersi senza soluzioni dignitose per le circa 20.000 persone arrivate dalla Libia in guerra, come denunciato di recente dal Tavolo Asilo in un comunicato sottoscritto anche dal Centro Astalli. Per di più è ancora gravemente insufficiente e dispersivo il sistema di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati nelle aree metropolitane”.

Questo il bilancio di Padre Giovanni La Manna (presidente Centro Astalli) alla fine di un anno in cui i richiedenti asilo e rifugiati “hanno visto i loro diritti e la loro dignità minati da leggi lacunose, da una burocrazia inefficiente e da una società ancora troppo disattenta nel denunciare il degrado e l’esclusione sociale che spesso colpisce chi giunge in Italia in fuga da guerre e persecuzioni”.

In occasione dalla giornata mondiale del Rifugiato 2012, lo scorso 20 giugno, il Centro Astalli con una campagna dal titolo “In città, invisibili” denunciava l’insufficienza e la frammentarietà dei sistemi di accoglienza che, privi di regia unitaria e di standard uniformi, mostrano le lacune più gravi proprio nei luoghi dove i rifugiati si concentrano.
Dalla ricerca “Mediazioni Metropolitane”, realizzata la Caritas di Roma, emergeva che circa 1500 richiedenti e titolari di protezione internazionale nella capitale vivono in insediamenti irregolari, spesso senza alcun contatto con il territorio, in condizioni di grave precarietà e insicurezza (come del resto denunciato la scorsa settimana dal New York Times e dall’inglese Herald Tribune in merito alla situazione degli 800 rifugiati che occupano un edificio abbandonato nella periferia romana).

“Uno dei problemi principali che ci siamo trovati quotidianamente ad affrontare al Centro Astalli – sottolinea P. La Manna – è che i rifugiati, anche quando sono titolari di protezione internazionale, hanno difficoltà a vedersi riconosciuti diritti sociali concreti. Anche ai più vulnerabili, come le vittime di tortura, viene spesso impedito di vivere in dignità e sicurezza, nell’indifferenza generale.

La speranza per il 2013 – conclude P. La Manna – è che il diritto d’asilo trovi finalmente spazio in ragionamenti di respiro, fuori da logiche emergenziali.
Si mettano in atto misure coraggiose per risolvere l’eccessiva pericolosità dei viaggi con cui i rifugiati cercano di raggiungere l’Europa.

Si inizi al più presto un ripensamento delle misure di accoglienza a livello nazionale che dia luogo a un sistema unico, capace di collegare le reti esistenti, affinché tutti i migranti forzati trovino in Italia una risposta tempestiva e qualitativamente soddisfacente ai loro bisogni più immediati.
C’è molto da fare, le sfide non mancano, affrontarle è responsabilità di ciascuno.
Che sia un buon anno per tutti… nessuno escluso!”

Andare oltre l’indignazione

La settimana scorsa, in una nota alla stampa, il Centro Astalli esprimeva preoccupazione per la sorte delle oltre 20mila persone giunte in Italia dalla Libia nel 2011, tra cui molti rifugiati in fuga da guerre e persecuzioni che il prossimo 31 dicembre non avranno più diritto all’accoglienza.

 

Di oggi la denuncia del periodico Espresso, che in copertina titola Scandalo profughi, sullo spreco e la cattiva gestione di fondi pubblici destinati alla cosiddetta emergenza Nord Africa.

Si tratta della punta dell’iceberg di un sistema malato e corrotto. E il desiderio di farsi voce di tante, troppe persone che non hanno ancora voce, è sempre più forte. Trae nutrimento dalle troppe ingiustizie che si traducono nell’offesa della dignità e dei diritti delle persone, soprattutto dei più deboli.

Da ogni parte si levano inviti all’austerità, all’onestà, alla buona e sana politica. Chi ha responsabilità di governo, chi ricopre ruoli istituzionali, non può più esimersi dal prendere coscienza della gravità della situazione e adoperarsi concretamente a favore delle persone e non più di interessi altri.

I più deboli: anziani, minori, diversamente abili, rifugiati, senza dimora e tanti altri, in questo momento pagano il prezzo più alto della crisi.

Con il pretesto della crisi, si sono messi da parte i diritti delle persone, calpestandone la dignità in nome di un interesse superiore. Siamo al punto in cui ci si disinteressa degli individui per mettere al centro l’economia.

Mi chiedo se le scelte fatte fino a questo momento siano le uniche possibili per superare una così dura crisi economica, causata da un sistema centrato sui soldi e preoccupato solo di fare altri soldi, che schiaccia senza remore le persone in difficoltà.

Appare lampante che è una situazione di estrema ingiustizia. I tagli effettuati troppo spesso riguardano oltre che i costi anche i diritti. Il diritto all’assistenza sanitaria, all’accoglienza ad esempio sono stati seriamente colpiti dai tagli alla spesa pubblica. Si è ancora incapaci di spendere bene e in maniera equa.

Ad amministrare la cosa pubblica siano persone oneste, serie, indirizzate al bene comune e capaci di mettere veramente al centro la persona, soprattutto quella più debole.

Election day, riforme elettorali, mediazioni tra i partiti. Questioni interessanti, per carità. Che però non si trasformano, ipso facto, in pane quotidiano per le mense delle famiglie disagiate o in lenzuola pulite per le persone bisognose accolte nei centri residenziali della città. Ogni giorno. Oggi  12 ottobre, domani sabato 13… Non tra tre mesi o la prossima primavera.

Il Centro Astalli, come tante altre realtà, è ogni giorno in prima linea per difendere i diritti dei più deboli e promuovere una cultura dell’accoglienza, ma purtroppo nessuno di noi vive di aria e bei pensieri. Qualcuno tra chi ha responsabilità di governo può distogliersi per un attimo dalle questioni accademiche e battere un colpo. Senza ulteriori indugi. E senza che nessuno tra i più indifesi debba scontare, ancora una volta sulla propria pelle, gli effetti di questa vergognosa negligenza.

Basta inviti, richiami, sollecitazioni, discussioni sterili. Abbiamo bisogno di agire animati dall’unico desiderio di pensare al bene delle persone, soprattutto le più deboli. Chi governa, ripeto, a tutti i livelli, ascolti il grido di chi è in difficoltà e abbandoni le vecchie logiche di potere della vetusta politica.

P. Giovanni La Manna sj

Invisibili, in città

Ne “Le Città Invisibili” di Calvino, Marco Polo chiude il racconto, rivolgendosi a Kublai Kan: l’inferno dei viventi è “quello che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.

Fermarsi per rimettere a fuoco, riposizionare lo sguardo sulle nostre città e allontanare il rischio di non vedere l’inferno che ci abita accanto. Noi non vogliamo e non possiamo essere quei molti che non vedono più l’inferno metropolitano a cui sono costretti i tanti rifugiati che naturalmente giungono nelle nostre città.

Per il Centro Astalli celebrare la giornata mondiale del rifugiato vuol dire scegliere la seconda via: impegnarsi a trasformare le nostre città, rendendo spazio agli invisibili.

Roma, Catania Palermo, Napoli, Vicenza, Padova, Trento sono piccole diapositive in negativo di Nairobi, Bangkok, Il Cairo… Piccoli avamposti metropolitani dove i rifugiati giungono in cerca di possibilità.

Nulla può essere peggio del deserto, del naufragio, della guerra e della morte, questo si ripetono i rifugiati giunti in Italia. La loro certezza trova conforto una volta in città: anonimato, sfruttamento, degrado possono essere ristoro per chi fugge. Il rischio è che per noi tanto basta ad assopire le coscienze, a convincerci che in fondo tollerare in qualche modo è accogliere.

Così nasce per molti l’inferno metropolitano, di cui ciascuno di noi è in parte responsabile. Celebrare la giornata mondiale del rifugiato vuol dire svegliarsi, aprire gli occhi e guardarsi intorno.

Ciascuno di noi faccia spazio, trovi modi nuovi di pensare e abitare la città.

I rifugiati diventino visibili, facciamoli durare, siano una ricchezza per le nostre metropoli. Uomini e donne in cammino, abituati al sacrificio e al dolore, così forti da essere in grado di sostenere da soli tutta la città. Serve solo un appiglio, un punto di dignità.

Apriamo gli occhi, guardiamo in faccia i rifugiati: ciò basterà a renderci migliori e nessuno sarà più invisibile, in città.

 

Donatella Parisi