No, l’esercito russo non è andato in rotta. No, le sanzioni non hanno affondato l’economia russa. No, gli oligarchi non hanno organizzato un colpo di Stato contro Putin.
No, la Russia non ha finito i missili. No, non ci sono state armi che hanno cambiato il corso della guerra anche se ogni volta che ne è stato (e ne viene) fornito un nuovo tipo all’Ucraina è presentato come “game changer”.
Un anno dopo l’invasione russa dell’Ucraina e dopo un anno di incessante marketing della guerra, sul conflitto nel cuore d’Europa abbiamo poche certezze.
Sappiamo che si continua a morire, civili e militari, numeri che entrambe le parti nascondono.
Sappiamo che l’industria bellica sta facendo affari come non accadeva da decenni. Sappiamo che l’orologio del giorno del giudizio è a meno novanta secondi dall’apocalisse, mai così vicino ci ricorda il Bulletin of the Atomic Scientist.
In questo anno di guerra il “Pensiero Unico Bellicista” ha corroso la democrazia nel nostro Paese, un viscido stigma è stato scagliato su tutti i costruttori di pace, trattati nella migliore delle ipotesi come al soldo di Putin.
La voce dei pacifisti è scomparsa dalla conversazione pubblica e dallo spazio mediatico, occupato dagli opinionisti con l’elmetto, promotori di un bellicismo sganciato dalla realtà che insegue il miraggio della vittoria. Sin dalla primavera appare chiaro che la situazione bellica è in stallo, che non esiste soluzione militare.
Per dirla in breve: l’Ucraina non può vincere e la Russia non può perdere. Eppure continua a prevalere l’idea che la pace sia possibile solo dopo la vittoria; perfetta applicazione di quella cultura dello scarto di cui parla Papa Francesco: la pace ridotta a scarto della guerra.
Un anno dopo abbiamo però anche un’altra fondamentale certezza: chi chiede pace perché sin dall’inizio non ha creduto alla soluzione bellica, perché fermarsi ora significa sottrarre vite al tritacarne della guerra, chi chiede pace perché parlarsi “costa meno” è dalla parte giusta della storia. È anche dalla parte della maggioranza del popolo italiano, come confermano i sondaggi. Ed è ora di fare in modo che le nostre voci vengano ascoltate.
Nico Piro
Foto: Sergi Camara/Entreculturas
MALEDETTI PACIFISTI.
Come difendersi dal marketing della guerra

Nico Piro, giornalista e inviato speciale del Tg3, da tempo la guerra la vede da vicino, prima come inviato in Afghanistan, poi a Mosca per raccontare il conflitto tra Russia e Ucraina. Ragiona e scrive, nelle pagine del suo ultimo libro“Maledetti pacifisti. Come difendersi dal marketing della guerra” (People, 2022), della vendita del “prodottoguerra” e della sua narrazione che ne fa male necessario dall’alto valore morale.
Un libro che vuole provare a smontare il dilagante “pensiero bellicista” e fornire all’opinione pubblica gli strumenti per distinguere la verità dalla rappresentazione.