Il 23 settembre 2020, la Commissione Europea ha pubblicato il “Nuovo Patto sull’Asilo e le Migrazioni”: un pacchetto di misure volto a creare procedure snelle e veloci per identificare, direttamente alle frontiere, chi ha bisogno di protezione e chi deve essere rimpatriato.
L’impressione dopo una prima lettura, però, è che le nuove proposte non contribuiranno a migliorare i livelli di accoglienza e protezione per i rifugiati in Europa. Al contrario, si prevedono periodi più lunghi di detenzione e aumenterà il rischio di errori in decisioni prese in modo frettoloso.
L’obiettivo alla base del patto è poter distinguere il prima possibile chi, tra i migranti arrivati irregolarmente alle frontiere, ha bisogno di protezione e quindi diritto a rimanere nell’UE, e chi no e quindi deve essere rimpatriato. A questo proposito viene introdotta una procedura di prescreening, che prevede dei primi controlli medici, d’identificazione e di sicurezza. Una novità consiste nell’obbligo di esaminare le domande d’asilo in una “procedura di frontiera” nel caso in cui il richiedente asilo abbia una nazionalità per cui la percentuale di riconoscimenti di protezione a livello europeo è inferiore al 20%. In caso di decisione negativa nella procedura d’asilo alla frontiera, la persona passa direttamente alla procedura di rimpatrio.
Nell’esperienza degli uffici europei del Jesuit Refugee Service (JRS), procedure simili portano spesso a decisioni errate, prese frettolosamente, senza la possibilità per i richiedenti asilo di prepararsi adeguatamente e senza ricevere un’adeguata assistenza legale. Inoltre, sebbene le proposte della Commissione non prevedano la detenzione delle persone durante l’espletamento della procedura alla frontiera, è facile immaginare che gli Stati membri vi ricorreranno per impedire ai migranti di allontanarsi. All’annuncio del Patto, la Commissione Europea ha tenuto a sottolineare come fosse stato abolito il regolamento di Dublino, ovvero l’attuale sistema europeo per determinare lo stato membro responsabile a esaminare una domanda d’asilo. Che il sistema di Dublino andasse riformato, era chiaro a tutti: la sua attuale applicazione stabilisce che la domanda di protezione debba essere presentata e valutata nel Paese di primo arrivo.
Una lettura del nuovo strumento sul “management dell’asilo e la migrazione” rivela però che in realtà non solo i criteri di Dublino sono stati ripresi quasi integralmente, ma anche che il principio per cui gli Stati di primo ingresso sono responsabili per l’esame delle domande viene fondamentalmente rinforzato. Viene introdotto un “meccanismo di solidarietà” che però non implica un sistema strutturale di redistribuzione delle domande d’asilo tra gli Stati membri. Il ricollocamento è previsto, ma su base volontaria. Gli stati membri possono scegliere di mostrare la loro solidarietà anche sponsorizzando dei rimpatri o fornendo aiuti operativi (per esempio per rinforzare le infrastrutture di accoglienza).
Il JRS Europa è deluso dall’approccio adottato dalla Commissione: il sistema proposto, ancora una volta, non lascia il minimo spazio a richiedenti asilo e migranti per poter esprimersi riguardo la loro destinazione in Europa. Inoltre, la possibilità di poter scegliere di sponsorizzare rimpatri invece di accogliere non corrisponde con la nostra visione di un’Europa accogliente e solidale. Resta da vedere se questo patto riuscirà, come pensa la Commissione, a mettere rapidamente d’accordo tutti gli Stati membri e il Parlamento Europeo. Nel frattempo è importante ricordare che l’attuale normativa in materia d’asilo rimane in vigore, e che gli obblighi degli Stati
membri di provvedere a un’accoglienza degna e procedure di qualità, che
troppo spesso vengono ignorati, non sono cambiati.
Claudia Bonamini
Policy & Advocacy Officer JRS Europa